Venezianella e Studentaccio, Filippo Tommaso Marinetti

Un romanzo inedito del papà del Futurismo 

marinettiNon è il primo e non sarà l'ultimo inedito del papà del Futurismo a saltar fuori. Del resto, i primi quattro capitoli di Venezianella e Studentaccio erano già usciti in «Yale Italian Poetry», all'inizio del nuovo secolo e millennio, a cura di Amerigo Fabbri (V-VI, 2001-2002, pp. 193-226 e 229-313), che tuttavia non aveva potuto giovarsi, nel suo lavoro filologico ed ermeneutico, che di due testimoni dattiloscritti parecchio scorretti e non del manoscritto idiografo e parzialmente autografo rinvenuto presso un archivio privato milanese da Patrizio Ceccagnoli e Paolo Valesio, come dice la Nota al testo cofirmata ; mentre un'altra versione dattiloscritta del romanzo, sempre inattendibile, veniva inviata nella primavera del 2002, ad Antonio Riccardi, della Mondadori, da Luce, la più giovane delle tre figlie di Filippo Tommaso Marinetti (Alessandria d'Egitto, 1876; Bellagio, Como, 1944).

Ma colpisce sempre la pubblicazione di un inedito marinettiano; in fondo fa di questo autore una sorta di stella cadente che non cade, una stella cadente futurista dotata di una scia luminosa continua. Tanto che in tal senso, il Nostro, sembra esser colto sempre "un po' prima della fine", non in quanto stella ma come scia, quella degli ultimi anni di vita e d'attività. Basta pensare, mi pare, a L'aeropoema di Gesù, che raccoglie pagine concepite tra il 1943 e il 1944, l'anno della morte, ma che è pubblicato solo nel 1991 per iniziativa di Claudia Salaris e degli Editori del Grifo, o a Originalità russa di masse distanze radiocuori, scritto presumibilmente nel 1942 ma rimasto inedito fino al 1996, quando esce per Voland a cura di Maria Delfina Gandolfo. E non è un caso che l'ultimo Marinetti sia ancora l'autore di Venezianella e Studentaccio, un testo dettato secondo sua consueta prassi scrittoria ma quando era già molto ammalato, tra l'ottobre del 1943 e il luglio del 1944, che presenta correzioni autografe significative ma mai sistematiche, tese cioè a introdurre varianti più che correzioni ortografiche.

Del resto, all'ultimo Marinetti è dedicata la tesi di dottorato di uno dei due sensibili e partecipi curatori, Patrizio Ceccagnoli, intitolata significativamente Filippo Tommaso Marinetti Redux e portata a termine alla Columbia University sotto la guida appassionata di Paolo Valesio, che sarà ospite dell'Université de Liège a ottobre, durante la settimana della Lingua italiana e grazie all'iniziativa congiunta - fra C.I.P.A. e MIXED ZONE - di Michel Delville e del sottoscritto.

La duplice introduzione di Paolo Valesio, dedicata al contesto e al testo (pp. VII-LIV e LV-CII), la Nota al testo cofirmata (CIII-CIX) e la Postfazione di Patrizio Ceccagnoli (pp. 139-181), valgono, come si diceva una volta, "il prezzo del biglietto", insomma i dieci euro dell'«Oscar» Mondadori. Anche se Filippo Tommaso non vi piace, non vi è mai piaciuto, e questo suo nuovo inedito romanzesco vi lascia indifferenti o peggio, magari per motivi ideologici o morali, scorrete il lavoro dei curatori e sarete, in buona parte, ricompensati. Perché? Perché è un commento che osa, subito, e si sente, come tale, che è un commento "americano", e comunque figlio di un punto di vista che non guarda alla storia e alla cultura - e alla storia della cultura - dal buco della serratura. Certo, la prima reazione, di fronte ad alcuni paragoni e/o a rassegne "veneziane" fatalmente non nuove, è quella di dire: «questo lo sappiamo e non è certo l'anziano Marinetti ad affrontare e a vincere "la sfida della de-scrizione o de-scrittura o decostruzione di Venezia"», ovviando da solo all'alito pestifero della peggiore - e migliore - tradizione "decadente" e al passatismo contro il quale s'era scagliato fin dal 1910.

Ma è l'insieme del discorso critico a colpire : un iter che spazia dal paragone del viaggio-fuga di Marinetti da Roma a Venezia - negli anni della guerra civile italiana e della fine della seconda guerra mondiale (1943-1945) - col viaggio-fuga di Céline, al seguito dei resti del regime di Vichy, verso il Nord dell'Europa, fino alla sintesi innovativa, meccanica, moderna, "rumorosa" che della città morta, della città del silenzio - di rodenbachiana memoria, e prima ancora gualdiana e poi dannunziana - fa Marinetti a partire da un Divertimento drammatico degli anni Trenta, dove già individua una Venezia silenziata in quanto terremotata dai bombardamenti, in seno a una sorta di pre-visione catastrofica degna di Philip K. Dick!

Di fronte all'emergere di contesti e genealogie simili per Venezianella e Studentaccio, si resta un po' spiazzati, inutile negarlo. Anche perché, a voler tradurre in una certa science fiction una Venezia "bombardata" (nella prima più che nella seconda guerra, dove non è colpita al cuore), non c'era da andar lontano e si poteva pensare, in casa nostra, a Berto Bertù (al secolo Umberto Bertuccioli) e a un suo lungo, denso racconto, La fine di Venezia, del 1952, con significativa epigrafe dannunziana : «Il mondo parve diminuito di valore» (si legge in Le aeronavi dei Savoia. Protofantascienza italiana 1891-1952, a cura di Gianfranco De Turris, con la collaborazione di Claudio Gallo, Milano, Nord, 2001, pp. 328-345).

Certo, anche Valesio (e Ceccagnoli dopo) cita (e discute a lungo di) d'Annunzio, cui ha dedicato diversi studi e un volume (Gabriele d'Annunzio : The Dark Flame, New Haven and London, Yale University Press, 1992). Il pescarese, insieme a Marinetti, gli appare come il vero propulsore della modernità novecentesca, specie a partire da Il Fuoco e dal Notturno, che qui diventano gli antecedenti immediati di Venezianella e Studentaccio, testo presentato, in questa scia, come «il terzo romanzo italiano definitivo della Venezia moderna». E definitivo in quanto "salva" Venezia quasi una volta per tutte, in seno a una decostruzione che solo Il Fuoco aveva saputo principiare: «Venezianella come allegoria di Venezia, o addirittura come figura Beatricis cui farebbe da contraltare - è proprio il caso di dire - Studentaccio come figura Dantis». Tale tensione verso il trascendente, già evidenziata da Giusi Baldissone, è "assolutizzata" da Valesio in seno alla «spiritualità modernistica» di Venezianella e Studentacco e "ripescata" - ma senza trovarvi mai «lo stesso grado di radicalità sperimentale» propria di quest'ultimo Marinetti - in poche prove narrative del Novecento italiano.

Insomma, la linea è ancora un po' aperta e Valesio pensa che partecipino anche, a questa decostruzione allegorica di Venezia, opere come La cosa buffa (1966) di Giuseppe Berto, Il doge (1967) di Aldo Palazzeschi, Le notti della paura (1967) di Antonio Barolini, e, in un certo senso, Le città invisibili (1972) di Italo Calvino. Del resto, il paradigma che ne scaturisce, fatto di libertà creaturale, opera pure à rebours, e Venezianella è anche evocata come «uno dei personaggi femminili più belli nella letteratura italiana moderna : al livello, per esempio, della Pisana, eroina delle Confessioni di un italiano di Ippolito Nievo».

La sensazione che ne ho io è diversa. A me pare che se la nuova Venezia inseguita da Marinetti debba inserirsi nella linea del Fuoco dannunziano, lo possa fare in quanto Venezianella diventa, in seno a un gigantesco progetto di ricostruzione urbanistica e architettonica, un macro-modello statuario che prende le mosse, ma superandolo subito, dal micro-modello statuario mutilo della Foscarina del romanzo dannunziano del 1900. I personaggi femminili dannunziano-marinettiani sono spesso, qui e altrove, sonde cieche, crocerossine morenti (Venezianella, non a caso, è detta tale), e servono, per l'appunto, un progetto i cui artefici indiscussi sono praticamente sempre Stelio-Gabriele e Filippo Tommaso-Studentaccio.

Luciano Curreri
Mai 2013

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Luciano Curreri
enseigne la langue et littérature italienne contemporaine à l'Université de Liège.



 

Filippo Tommaso Marinetti, Venezianella e Studentaccio, a cura di Patrizio Ceccagnoli e Paolo Valesio, Milano, Mondadori, «Oscar», 2013, 184 p., 10€