Il 70° anniversario dell'Accordo del Carbone tra Italia e Belgio

RossettiUn'occasione per fare autocritica e ricordare un paio di iniziative in quel di Liège.

RossettiDire agli altri che si sono sbagliati è sempre stato di una facilità estrema. Riconoscere un proprio errore, lo è meno. Traducendo Schiena di vetro di Raul Rossetti (Torino, Einaudi, 1989, con quarta di copertina di Natalia Ginzburg, e Milano, Baldini & Castoldi, 1995) insieme alla mia prima laureata, Sabrina D'Arconso, ora collega all'ISLV, e con la revisione di Carmelo Virone, per le impegnate Éditions du Cerisier (Cuesmes) che editano il volume in francese alla fine del 2013, ci è capitato di confondere, sviati dallo stesso autore peraltro, uno dei molteplici rinvii del libro ai tanti luoghi minerari (e non) frequentati da quel giramondo – e 'giraBelgio' – che è stato per l'appunto Rossetti, classe 1929 e ancora in forma, come ho potuto constatare partecipando a una puntata di "Il Tempo e la Storia" dedicata all'Italia in miniera e andata in onda su Rai 3 l'11 marzo scorso, con un'originale intervista a Raul.

Un collega belga – che di Belgio se ne intende di sicuro più di me – me lo ha fatto notare gentilmente, mentre un altro lettore, di origine italiana, ha scelto, diciamo, una modalità meno elegante. Ma l'ho capito, lo capisco ancora e, personalmente, mi scuso per l'errore, in seno a un'autocritica, di cui vorrei brevemente cercare di spiegare le ragioni, passando poi a ricordare un paio di iniziative di amici e colleghi, tra librerie e teatri, pel 70° anniversario dell'Accordo del carbone tra Italia e Belgio: 1946-2016.

Quando si arriva dopo (che è un po' il destino di tutti, in un certo senso, anche se tendiamo cocciutamente a non rendercene conto), è difficile – e pur in seno alla splendida acclimatazione che mi hanno regalato Liège e l'ULg – riempire i vuoti. Non basta internet, non basta un'enciclopedia, non basta una biblioteca specializzata, né un'attenzione sovrana al testo in sé, perché non si può fare l'edizione critica del lavoro italiano in miniera. L'unica è tentare un'approssimazione e in quella non darsi per vinti al primo inciampo, perché questa sì sarebbe davvero una défaite. Cercare di capire, pur sbagliando, provare a ricostruire un insieme, tentare di recuperare un'atmosfera che non sia schiacciata su un solo particolare è quello che un uomo degli anni Duemila può fare rispetto a un passato che non è il Suo e che abita a distanza, temporale e spaziale, attraverso il sogno plurale di un collettivo che non è un monolite e che scappa da tutte le parti, in seno a tutte le memorie che lo decostruiscono e ricostruiscono per avvicinarlo e dirlo.

La cosa più difficile da fare, traducendo l'oralità debordante e multilingue dell'italiano di Rossetti era proprio, in prima istanza, la decostruzione di una memoria così espansa e vitale da trarti in inganno a ogni piè sospinto. Chimerica illusione descrivere il passato minerario di Rossetti in Belgio, nella prima metà degli anni Cinquanta, pensando di tradurlo oggettivamente, realisticamente, quasi come gesuiti garanti dell'ordine ristabilito, via tutte le coordinate storico-geografiche, toponomastiche et j'en passe.

Giocare, poi, la carta del 'purismo' là dove l''impurità' del linguaggio e – finanche – della visione del mondo di Raul faceva la differenza significava votarsi allo scacco. Si è scelto quindi il rischio di decostruire e ricostruire un insieme e non di restituire in francese una sequenza di dettagli. Ospitare la lingua di Raul nella traduzione di Échine de verre – a partire dal bellissimo (e già problematico) titolo antifrastico (encore que) – è stata una sfida quasi bermaniana, cui si sono sacrificati sicuramente (e ingenuamente) alcuni luoghi del testo (e alcuni suoi rinvii), ma in seno a un'operazione che non è banale e che giunge quasi sempre a ricostruire, in seconda istanza, l'atmosfera rivisitata di quegli anni e di quegli spazi di vita che furono le miniere e i loro non sempre tristi e malinconici dintorni.

In tal senso, infatti, pur in quell'Europa a pezzi che ritrovava a fatica sé stessa dopo la tragedia della seconda guerra mondiale e trattava molti suoi figli sopravvissuti al massacro come merce di scambio (uomini del Sud contro carbone del Nord), la durissima miniera non fu solo una prigione, ma anche un modo per entrare nel mondo, per ricominciare ad accettarlo, a capirlo e magari a correrci dentro, con un po' di libertà e di voglia di vedere cose nuove. Certo, Rossetti non parla della miniera belga come Leonardo Sciascia (1921-1989) parla della zolfara siciliana, che diventa – in senso più libresco e intellettuale (ma non solo) – una chiave d'accesso politica ed ermeneutica al mondo tutto. Detto questo, Rossetti, proprio come certi minatori e personaggi sciasciani, va verso gli altri, sposa una sorta di noi, di pluralità che è alla base di un'autobiografia delle due nazioni (belga e italiana) meno malinconica, più leggera - un po' alla Italo Calvino, se volete, ma secondo una modalità tutta rossettiana - e finanche più sensuale.

MacaroniE a proposito di leggerezza, finanche di calviniana leggerezza, son davvero contento di essere stato invitato – da Hugues Judong e Nicolas Javaux – a presentare – alla Libreria Pax, il 6 aprile scorso, in seno alla prima iniziativa che voglio ricordare – la BD, il fumetto 'italo-belga' di Thomas Campi e Vincent Zabus, Macaroni ! (Charleroi, Dupuis, 2016), che invita a rileggere leggermente - con visionaria ma non facile né banale soavità – l'italianissima «vita di merda» nel Belgio delle miniere, a partire dall'incontro tra un nonno ex-minatore e un nipote che niente sa della miniera, dell'immigrazione. Lo ricordo perché penso che sia una scelta azzeccata, checché ne dicano magari i detrattori di uno sguardo non competente, di un punto di vista altro su una realtà che comunque non sarà mai la proprietà privata di nessuno e la cui sopravvivenza, in seno alla nostra memoria, ha bisogno anche di 'straniamenti' e di 'errori di comunicazione'. E la bella prefazione di Salvatore Adamo la dice lunga sulla 'comunicatività' di questi sforzi di 'tradurre' fatti da più o meno giovani uomini del Duemila per avvicinare e dire una realtà ben al di là di un anniversario. E degli altri tristi anniversari che lo amplificano. Uno su tutti: Marcinelle, 8 agosto 1956 (e non posso non evocare, anche solo in una parentesi, un'altra e certo diversa BD 'italo-belga' che però converge sostanzialmente a illuminare e onorare questo discorso, a mio umile avviso: Sergio Salma, Marcinelle 1956, Tournai, Casterman, 2012).

Di più. Ottavio Rossetto (San Giovanni Ilarione 1915) del Veneto – che è l'eroe della BD Macaroni ! - raggiunge – pur nella sua 'diversità' - Raul Rossetti (Chivasso 1929) del Piemonte, Rocco Granata (Figline Vegliaturo 1938) della Calabria, Salvatore Adamo (Comiso 1943) della Sicilia, Elio Di Rupo (Morlanwelz-Mariemont 1951) di famiglia abruzzese. Insomma, c'è quasi una concreta, materiale, plurale identità in questa scia 'ideale' di uomini (noti e non) da cui la cronologia ci allontana ma a cui noi vogliamo essere vicini, un po' come ha fatto, esattamente trent'anni fa, Girolamo Santocono (1950), di cui non posso non citare l'incipit del magnifico Rue des italiens (Cuesmes, Cerisier, 1986), dedicato al padre, minatore siciliano: «S'il y a au monde un endroit qui puisse ressembler au paradis, ce devait être celui-là. Enfin, quand je dis paradis, je veux parler pour les enfants car pour les parents ça devait plutôt ressembler à l'enfer. Quoique...» (cito dalla quarta edizione, ivi, 2004, p. 11).

Mitico!  Oserei dire che c'è tutto, nell'incipit appena citato, ma direi che c'è, soprattutto, la volontà di parlarne ancora e altrimenti, dell'immigrazione italiana in Belgio e della miniera, in seno a un rispetto che è anche e soprattutto l'atto di riconoscere e omaggiare una «vita», non sempre e necessariamente «di merda», non sempre e necessariamente 'esiliata' sotto un cielo coperto e piovoso. Perché non è sbagliato ricordarsi del sole del Belgio e del cielo di Liège, che è bello - lo ricorda semplicemente, da par suo, Raul Rossetti, chiudendo il suo splendido racconto e giungendo a essere riconosciuto e pubblicato nello stesso giro di anni di Santocono, durante la seconda metà degli anni Ottanta.

CommemorationAccord CharbonOggi, il Théâtre de Liège, l'asbl L'Aquilone, animata, fra gli altri, dal dinamico e simpatico Nicola Briale, e l'Istituto italiano di Cultura di Bruxelles, che non smette di macinare eventi grazie alla direzione dell'instancabile Paolo Grossi, si associano per commemorare  i 70 anni che ci separano dalla firma del protocollo del carbone, in quel di Roma, il 23 giugno 1946. EN POINT D'ORGUE : LA SOIRÉE COMMÉMORATIVE. Des bras contre du charbon èal Théâtre de Liège (Salle de la Grande Main), giovedì 23 giugno, alle 20h (ingresso gratuito ma riservazione obbligatoria, presso la biglietteria del Teatro). Molti gli ospiti che animeranno la serata. Tra i colleghi dell'ULg, Marco Martiniello, sociologo, ricorderà i grandi momenti dell'immigrazione italiana in Belgio.

 

Luciano Curreri
Mai  2016

crayongris2


Luciano Curreri
enseigne la langue et littérature italienne contemporaine à l'Université de Liège.